
Il primo nome attribuito all’isola appare nel secondo libro dell’Iliade di Omero: “Come quando il fulminante / irato Giove Inà rime flagella / duro letto a Tifé o, siccome è grido”. L’isola è qui chiamata Inà rime o Àrimos (così la definirono sia i poeti greci quali Pindaro, Esiodo, Archiloco; che quelli romani dell’età augustea, primo fra tutti Virgilio), che per alcuni significa “terra del fuoco”, a causa della presenza delle fumarole, per altri “terra degli Arimi”; c’è poi chi propone una derivazione dal greco en arì mois, tra le scimmie, o dall’accadico i narim, isola delle sorgenti. Nei versi omerici succitati si fa riferimento anche al mito di Tifeo, col quale gli antichi spiegavano l’origine magica della costante attività geotermica dell’isola. Ancora: in merito ai versi omerici va ricordata l’ipotesi (rimasta tale per la mancanza di prove attendibili) dello storico Philippe Champeault, secondo la quale Inà rime va identificata con Scheria, l’isola dei Feaci nel viaggio di Ulisse, collocando l’incontro tra Ulisse e Nausica nei pressi di Casamicciola. “I-scheria” è in realtà un appellativo fenicio che significa isola nera.
I Greci la chiamarono Pithecusa, “isola delle scimmie” o – più probabilmente – “isola dei vasi di terracotta”. Tale toponimo fu usato contemporaneamente per indicare la nostra isola e Procida, in quanto Filostrato pensava che in antichità le due isole fossero una sola. Nel periodo romano l’isola cambia nome e diventa Aenaria, termine che secondo la tesi leggendaria di Plinio, si riferisce ad Enea, che sarebbe giunto sull’isola dopo la sconfitta di Troia.
La prima volta che troviamo il toponimo Ischia è in una lettera dell’812, inviata da papa Leone III a Carlo Magno. La sua etimologia è incerta, ma l’ipotesi più probabile è che il termine Ischia derivi dalla corruzione di insula, isola, divenuta nell’Alto Medioevo issla e poi iscla.